Ci sono parti d’Italia che la storia e le guerre hanno collocato all’esterno dei confini nazionali d’oggidì, ma che in caso di gravi calamità rispondono ancora al DNA originario, com’è il caso del ‘Ticino’, il Cantone svizzero che da cinquecento anni non è più ‘italiano’. Lo ha ben documentato Renata Broggini (Terra d’asilo, 1993), recentemente scomparsa che nel suo lavoro di ricerca storica è andata al di là dei confini nazionali.
Napoleone III, in cambio della vita dei suoi ufficiali nella seconda guerra d’indipendenza volle in cambio la Savoia e Nizza. Anche Charles de Gaulle si approfittò della situazione e – dopo il secondo conflitto mondiale – per una sorta di compensazione all’invasione della Francia, voleva per sé buona parte del Piemonte, ma dovette accontentarsi di due cittadine, Tenda e Briga che da allora non sono più ‘italiane’. Storie diverse (e non abbiamo citato l’Istria) di ‘terre nostre’ che sono state ‘rubate’ o ‘vendute’. Qui scriviamo dell’asilo che molti italiani ebbero nel Canton Ticino, un terra che cinquecento anni fa apparteneva al Ducato di Milano e ha sempre fatto parte della Diocesi milanese, appartenenze che non sono state dimenticate.
1940 (ottobre): Mussolini attaccò la Grecia senza concertare l’impresa con l’alleato. Lo scacco subito rivelò da subito l’impreparazione delle truppe italiane. Ci andò anche il padre di chi scrive. Finì in un campo di concentramento a mangiare pelli di patate e fu l’orologio d’oro di un paesano a salvarlo da morte certa.
1941 (7 dicembre): L’attacco giapponese di Pearl Harbour portò gli Stati Uniti in guerra a fianco degli inglesi, dei sovietici, mentre dall’altra parte c’erano tedeschi, italiani e giapponesi;
1942 (novembre): disfatta di El Alamein in Africa e contemporanei sbarchi anglo-americani in Marocco e Algeria;
1942-43 (inverno): disfatta in Russia;
1943 (luglio): IL 10 luglio gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia e nella notte tra il 24-25 luglio Benito Mussolini – nella seduta del Gran Consiglio – venne messo in minoranza e il Re, nei giorni successivi, lo fece arrestare. Liberato dai tedeschi a Campo Imperatore Mussolini, dopo qualche mese, fondò la Repubblica Sociale Italiana.
Dopo l’8 settembre. Dopo l’eccidio di Meina (22 settembre) si sparse il terrore tra gli ebrei italiani e iniziò la ‘fuga dai tedeschi’. I fuggiaschi attraversarono i monti dell’Alto Comasco e della Val Chiavenna. Tanti ebrei riuscirono ad espatriare, insieme a renitenti alla leva, disertori, perseguitati politici, tutti guidati nella fuga dai contrabbandieri.
Il ‘Savoia Cavalleria’ salva l’onore rifugiandosi nel Cantone. Il 12 settembre ‘43 uno squadrone del Reggimento ‘Savoia Cavalleria’, al comando del colonnello Pietro Piscitelli (15 ufficiali tuti appartenenti alla nobiltà piemontese, 642 sottufficiali e soldati, 316 cavalli e 9 muli, perfettamente inquadrati lasciarono il suolo italiano “per poter mantenere la fede data e non subire l’onta di essere sciolto”. Provenivano dal fronte russo dove erano stati protagonisti il 24 agosto 1942 dell’ultima carica di cavalleria a Isbuscenskij.
Nei mesi successivi gente comune di ogni età, condizione e opinione politica continuò a giungere ai diversi valichi guidati dai contrabbandieri che, in quel periodo, la facevano da padroni. Si chiamavano Cipriano Facchinetti, Ernesto Rossi, Giulio e Luigi Einaudi, Altiero Spinelli. Luigi Berlusconi, Amintore Fanfani, Umberto Terracini. Arnaldo Mondadori, Piero Chiara, Gianni Brera, Eugenio Cefis, Adriano Olivetti, Ernesto Treccani degli Alfieri. Cinquemila civili e 20mila militari erano giù giunti in Svizzera alla fine del 1943 e altri premevano ai confini. Molte famiglie di israeliti scampate a rastrellamenti e deportazioni riuscirono a espatriare pagando cifre cospicue alle guide-contrabbandieri: ben 172 portavano il cognome Levi, ma c’erano anche i Segré. Treves, Foà. La famiglia Latis fu respinta più volte, in seguito arrestati e deportati ad Auschwtz dove morirono tutti, ma i nipoti furono accolti al valico di Madonna di Ponte Val Mara. Si salvarono e poterono testimoniare.
I bambini dell’Ossola. La Svizzera italiana si spinse ai limiti estremi delle leggi nel caso irripetibile della sconfitta Repubblica dell’Ossola (2500 donne e bambini), una vicenda nella quale alcuni ticinesi non solo prestarono assistenza ai rifugiati ossolani, ma andarono oltre…
FOTO La rete di confine. Gianni Brera scrisse: “Fui accompagnato da un ‘milite’ alla rete di confine. Aprì delicatamente la rete, così che non trillassero i campanelli, entrai e giunsi in un vigneto in cui stavano vangando alcuni contadini: “Siamo in Svizzera?”, domandai “Semm in Schwizzera”, annuirono.