TURBIGO – Ad uno, ad uno, lasciano il posto a chi è arrivato dopo. Abbiamo appena ricordato Gigi Seratoni Gualdoni (classe 1937) e oggi ricordiamo un altro turbighese doc, Adalberto Bonali nato nel 1933 in Libia. L’avevamo intervistato anni fa e ci aveva detto che “avere voglia di ritornare giù”, a rivedere i luoghi dove era nato e dai quali aveva dovuto andarsene tanti anni fa. Non sappiamo se ci fosse riuscito o meno a realizzare il sogno.
Riportiamo una parte dell’intervista effettuata più di un decennio fa, al tempo in cui la Libia era in primo piano sui quotidiani per la guerra in corso (lo è ancora), e si citavano i pochi irriducibili italiani rimasti là, in attesa di tempi migliori. Ultimi ‘eroi’ di quella comunità italiana che si sviluppò durante il Ventennio, con il contributo di tanti coloni che giunsero ‘sulla quarta sponda’. Difatti, dopo ‘La bella Guerra’ del 1911-12, come la chiamò Ezio Maria Gray, la Libia divenne ‘terra promessa’ per gli italiani. Sapevamo che Adalberto Bonali, industriale turbighese, era nato a Barce (Bengasi) il 20 aprile 1933, per cui da bravo cronista, al tempo, eravamo andati a raccogliere le sue memorie:
“Mio padre, Pietro, classe 1905 abitava a Nosate e, nel 1928, decise di partecipare alla colonizzazione dell’Africa nella speranza di un futuro migliore. Sposò Piera Boffini e, insieme, misero in piedi una fattoria a Barce, nelle vicinanze di Bengasi. Si lavorava la terra e si allevava il bestiame: possedevano circa mille animali tra cammelli, cavalli e mucche. E lì siamo nati noi: nel 1930, la mia sorellina, presto defunta; nel 1932 mia sorella Maria Carla; io nel 1933 e mio fratello Antonio nel 1938. Ho frequentato la prima elementare nella scuola italiana di Bengasi, ma poi nel 1940, in vista della seconda guerra mondiale, siamo stati obbligati a rientrare in Italia. Mi ricordo che, nel ritorno, sulla nave avevo perso di vista mia sorella che poi ho ritrovato a Turbigo. Mia madre e mio fratello ritornarono nel ‘41; mio padre nel ‘43, ma poi vi ritornò ancora nel ‘52, ma della nostra fattoria se n’erano impadroniti i Beduini. E’ passato tanto tempo, ma ho voglia di andare giù per rivedere i luoghi in cui sono nato.
LA CONCERIA ‘BENGASI. Alla fine della seconda guerra mondiale ci fu un periodo di espansione industriale nel turbighese. Tuti impiantavano concerie per la lavorazione di pellami. Chi scrive ricorda di aver letto un documento nel quale, addirittura il CLN (27luglio 1945), autorizzava la costruzione della conceria Barengo, con il solo vincolo della realizzazione di una strada che collegasse la piazzetta Cinque Vie con la Via per Nosate. Non c’era neanche il tempo di aspettare la nomina del Sindaco. Anche Pietro Bonali – ci dice il figlio Adalberto – seguì la corrente, e impiantò, dopo l’esperienza libica, una conceria al Ponte di Castano per la lavorazione di pellami ovocaprini. La chiamò ‘Conceria Bengasi’ in memoria dei trascorsi in Africa (al tempo, in via Ponte di Castano, c’era anche una trattoria chiamata ‘Tripoli’). Nel 1954, il trasferimento in Via Molinara, 4, dove ancora oggi l’attività continua, nonostante la crisi che ha investito il distretto conciario e ridotto ad un decimo le aziende. Oggi le concerie turbighesi che vanno bene sono l’Alpi, la Virgilio, quella del Guido Bianchini, la Guerino di Malvaglio e poche altre che lavorano per le grandi firme della Moda”.
Adalberto Bonali ha partecipato attivamente alla vita socio-economica del paese: è stato presidente del Consorzio Conciatori e dell’Unione Sportiva turbighese lasciando un segno positivo nelle sue gestioni. I funerali si terranno martedì 14 dicembre alle 15.30. Condoglianze alla famiglia
FOTO Adalberto Bonali è il terzo da sinistra in una foto del tempo in cui era presidente dell’est